Cari soci,
nel rinnovare l’invito per l’Assemblea Ordinaria e Assemblea Straordinaria del 31 marzo a Genova, in allegato il documento del nuovo Statuto AIGAE
importante strumento per la gestione associativa, amministrativa e politica
della nostra associazione, alla quale siamo tutti inviatati a partecipare.
Buoni passi
redazione Aigae News
newsletter@aigae.org
www.aigae.org
Cari soci,
sperando di fare cosa gradita, si segnaliamo il concorso fotografico sotto riportato.
Buoni passi
(altro…)
Dal 15 al 19 dicembre 2014 si è svolta in Sicilia la terza edizione italiana del Wilderness Advanced First Aid (Wafa), un corso di primo soccorso avanzato rivolto a tutti coloro che, per lavoro o per passione, si trovano ad operare in ambienti naturali remoti.
Nell’affascinante quadro di un casolare di campagna alle porte di Caltagirone, 13 corsisti hanno partecipato a questa entusiasmante esperienza, seguendo con attenzione le lezioni teoriche dentro casa e mettendosi in gioco nelle simulazioni pratiche all’aria aperta. Per 4 intense giornate, dal primo mattino alla tarda notte, sono stati trasportati nell’appassionante mondo della para-medicina, grazie all’esperienza e alla grande professionalità dell’istruttore, C. Stone, che per sei mesi l’anno viaggia dallo stato di New York per diffondere le sue conoscenze nei quattro angoli della terra.
Momenti della formazione WAFA per AIGAE
La Wilderness Medical Associates, che Stone rappresenta, ha fatto della formazione una vera e propria missione educatrice, consapevole del fatto che quando ci si trova nei boschi o in alto mare, nel fondo di un canyon o di una grotta, o in qualsiasi luogo in cui i soccorsi tarderebbero ad arrivare, il pericolo si amplifica e le possibilità di ricevere aiuto in tempi brevi si riducono sensibilmente. Per queste ragioni un corso di questo genere e di tale intensità è, per una Guida Ambientale Escursionistica, non solo altamente arricchente e formativo, ma anche determinante nello svolgimento del proprio lavoro. Se un giorno dovessi trovarmi in una qualsiasi situazione d’emergenza, la mia capacità di valutare lo scenario, di determinare le condizioni delle persone coinvolte e il loro grado di urgenza, e di agire in modo certo ed efficace, potrebbe essere risolutiva. In questi giorni, ho imparato a riconoscere un trauma cranico o un’emorragia interna, a distinguere un’appendicite da un’intossicazione, a fronteggiare un’ipotermia o un colpo di calore, a steccare un braccio rotto o praticare un bendaggio compressivo. Ciò che davvero ha accresciuto la mia preparazione come guida Aigae e come appassionata frequentatrice di spazi naturali, è l’aver appreso ad usare spirito critico e d’iniziativa nel fronteggiare una situazione di rischio, a seguire principi più che regole, a sapere che agire prontamente e lucidamente, anche commettendo errori, è sempre meglio che non agire affatto, quando si tratta della vita delle persone che hai intorno e di cui ti senti responsabile.
Momenti della formazione WAFA per AIGAE
A differenza del tradizionale approccio al soccorso, che ci insegna a “non far nulla” se non chiamare il 118, la medicina d’urgenza in ambienti remoti mira a fornire istruzioni pratiche e concrete riguardo tutto ciò che un non-medico può fare per aiutare una persona in pericolo, in attesa che arrivino i soccorsi. Come si legge chiaramente sul sito, la Wilderness Medical Associates “non devia dalla medicina convenzionale arbitrariamente, ma non ha paura di farlo quando questo è necessario”. I suoi insegnamenti si basano su studi medici approfonditi e su un’infinita casistica di esperienze sul campo e da oltre 30 anni i suoi istruttori tengono corsi di formazione in svariati paesi del mondo. Nel 2012 la Wma è approdata in Italia grazie alla determinazione di un giovane emiliano, Riccardo Sedola, fondatore dell’associazione di outdoor Greenthink e socio Aigae. Giunto alla sua terza edizione, il corso Wafa è ‘migrato’ quest’anno in Sicilia, per l’interessamento della Mandala Organic Tours, agenzia di turismo naturalistico di respiro nazionale che ha base a Catania.
Si ringrazia l’Aigae per aver patrocinato il corso, confidando nella validità dei suoi contenuti, con l’auspicio che questa esperienza sia la prima di una serie ininterrotta, e che un giorno anche in Italia, come già accade in alcuni paesi nordeuropei, la conoscenza del primo soccorso d’urgenza in ambienti remoti diventi parte integrante del percorso di formazione delle Guide Ambientali Escursionistiche. Perché al momento del bisogno nessuno se ne rimanga con le mani in mano, in attesa che arrivino i soccorsi.
Chiara Pulvirenti
socio Aigae Sicilia
chiarapulvi@hotmail.com
Il Presidente Spinetti sulla Gazzetta Ambiente con un articolo sulla professione di Guida Ambientale e sull’AIGAE. La prestigiosa rivista, inserto della Gazzetta (altro…)
Il pistacchio dall’arabo ‘frastuch’ – in dialetto brontese, frastuca – è una pianta antichissima citata in vari testi antichi dalla Genesi all’Antico Testamento. Tipica del bacino Mediterraneo, fu introdotta in Europa da Plinio il Vecchio nel 20-30 d.C. a seguito delle conquiste Romane. Furono gli Arabi, che conquistarono la Sicilia nel 900 ad incrementare la coltivazione del pistacchio nell’isola, particolarmente alle pendici dell’Etna, dove trovò l’habitat natu
rale ed un giusto connubio tra la pianta e il terreno vulcanico ricco di sali minerali e continuamente concimato dalle ceneri vulcaniche che ricadono durante le eruzioni del Mongibello o ‘a’ Muntagna’, come la chiamano gli antichi. Qui i contadini brontesi con tecniche tramandate da padre in figlio hanno trasformato le desertiche colate laviche dette ‘sciare’ in un Eden per la produzione di frutti saporiti che, dal punto di vista del gusto e dell’aroma, sono della più pregiata qualità, con un colore verde smeraldo unico rispetto al tipo di colorazione giallo americano-asiatico. La Sicilia è la regione Italiana dove si produce la maggior quantità di pistacchio della specie botanica Pistacia vera. Ma è una specie arborea spontanea, il ‘terebinto’ (Pistacia terebinthus), la fortuna di Bronte, che viene utilizzata dagli agricoltori fin dall’antichità come portainnesto della pianta di pistacchio Pistacea vera: senza di esso non crescerebbe sulla sciara, è resistente alla siccità ed ha la caratteristica di crescere sulle fessure della roccia vulcanica fino a spaccarla, di qui il nome spaccapetri. La Pistacia vera è una pianta dal fusto corto non dissimile nel suo aspetto al fico ed è longeva (dai 200 ai 300 anni), ha uno sviluppo molto lento e riesce a produrre solo dopo quasi 10/15 anni dal suo innesto: produce frutti, drupe, dalla buccia color perla, contenenti semi caratteristici dal pericardio rosso violaceo e mandorla verde smeraldo. La raccolta viene fatta manualmente nel mese di settembre ogni 2 anni e negli anni dispari, per migliorare la qualità, la quantità e per eliminare un parassita che attacca il frutto, negli anni pari di scarica, i frutti vengono tolti a mano con la tecnica chiamata “potatura a verde”. Dopo la raccolta il frutto viene smallato ma rimane racchiuso ancora nel suo caratteristico guscio che ne preserva la fragranza ed il sapore. Essiccato al sole per 3/4 giorni il pistacchio sarà pronto per essere sgusciato, con le tipiche screziature violacee della sua pellicola protettiva (per i brontesi è ‘u garìgghiu’) per poi essere pelato attraverso una breve esposizione dei frutti al vapore acqueo ad alta pressione, asciugato e portato ad una umidità del 3-4%. Questo procedimento, celere e delicato, mette a nudo il verde smeraldo dei frutti, il colore dell’autentico pistacchio di Bronte. A Bronte se ne raccolgono circa 30 mila quintali, l’80% della produzione italiana. Una ricchezza di oltre 20 milioni di euro, che rappresenta poco più dell’1% della produzione mondiale di pistacchi. Viene apprezzato nei mercati italiani ed esteri per l’originalità del gusto e l’adattabilità in cucina e in pasticceria. E’ usato nell’industria dolciaria sopratutto per preparare torte, paste, torroni, mousse, confetti, gelati, e granite, cannoli. Il ‘pistacchio verde di Bronte’, perennemente minacciato da importazioni di qualità assolutamente inferiore, ha oggi conquistato il dovuto riconoscimento europeo di prodotto Dop. La Denominazione d’Origine Protetta riguarda una zona di produzione, compresa fra i 300 e i 900 metri s.l.m., che ricade nei territori di Bronte, Adrano e Biancavilla.
Alessandro Alberto Schilirò
alexskil@yahoo.it
Tecnica dello storytelling come anello di congiunzione tra strumenti web.
Il termine corretto è «landing page», pagina di atterraggio alla quale devono arrivare le azioni di promozione del nostro sito web. Sono fra l’altro quelle su cui si concentra Google per trovarci, mentre tutto il resto per quanto potente viene considerato solo un mezzo.
Il nostro principale obiettivo se vogliamo promuovere i prodotti è quello di attrarre il maggior numero di visitatori alle schede delle nostre escursioni, oppure ai calendari con il riepilogo delle stesse.
Ma noi siamo anche brand e il nostro prodotto potrebbe non essere attrattivo se non lo siamo a nostra volta come come guide singole o gruppo.
Occorre quindi qualificarci e renderci riconoscibili, possibilmente distinguendosi per specificità, utilizzando per una volta uno strumento che conosciamo molto bene e che ci rende meno impacciati rispetto agli altri strumenti di promozione e marketing: il racconto.
Ricordandoci che siamo prima di tutto interpreti e mediatori dell’ambiente che portiamo a visitare, con la nostra innata capacità di far immaginare e vivere anche gli elementi che non ci sono in quel momento. Come quando raccontiamo della fauna che difficilmente incontriamo, ma attraverso tracce, sgrufate e deiezioni la facciamo immaginare. O quando narriamo tempi passati e tradizioni semplicemente soffermandoci accanto a un muretto a secco.
Un racconto a posteriori o anticipatorio è ancora più differito rispetto a quanto facciamo in uscita con gli accompagnati. Può essere una rubrica su un periodico oppure può essere gestita da noi. Nonostante diversi annunci di fine del fenomeno, che si è effettivamente sgonfiato dell’eccesso di auree e speculazioni che gravitavano attorno, i blog sono ancora decisamente popolari e spesso i blogger vengono acclamati come “blog star”. Perché riconosciuti ancora come autentici. Anche se sembra un controsenso nel web la gente ricerca l’autenticità e internet viene riconosciuto come l’unica possibilità per sfuggire alla comunicazione strutturata, alle tecniche di manipolazione, ai filtri. A tutto ciò che viene percepito come costruito con sapienza e capacità scientifica di convincere.
Con i suoi limiti e appunto i suoi controsensi nella rete la gente vede gli altri e vede la possibilità di un contatto più diretto e più vero. E il blog cos’è se non in fondo una forma immediata ed efficace di diario on-line? O un racconto a puntate, un giorno per giorno, tema per tema. Il tutto fortemente caratterizzato dalla persona, dall’autore. Che abbia poche decine o milioni di lettori la facilità con cui chiunque può pubblicare rende il mezzo assolutamente trasversale e democratico: la vera differenza la fa non la quantità di pubblico ma, come ho già ribadito in tutti gli articoli precedenti, la qualità dei contenuti.
I dati ci ricordano che i blog più seguiti riguardano le tematiche moda, cucina e viaggi. Ed è proprio in quest’ultima categoria che apparteniamo alla sempre più ricercata nicchia del turismo verde, in costante crescita da qualsiasi parte la si voglia analizzare.
Con questo non dico che le guide dovrebbero avere per forza un blog, ma che almeno una parte ben visibile del loro sito debba essere di tipo narrativo o, meglio definita in termini di comunicazione, basata sullo storytelling.
Un raccontare in modo non schematico un’escursione o un luogo, un approfondimento su una determinata specie botanica, una leggenda locale. Senza temere l’eventuale lunghezza, accompagnando con immagini e soprattutto scrivendo in modo sciolto, confidenziale e lasciando entrare quanto più possibile di personale e particolare.
Ricordiamoci che gli accompagnati è noi che vogliono, con la nostra competenza, con il nostro bagaglio, con la nostra preparazione. Un blog o una serie di pagine di contenuti paralleli alle solite schede escursioni e alla pagina più o meno asettica sulla guida e sui servizi che offriamo, possono creare molta più empatia di quanto immaginiamo. Generando allo stesso tempo automaticamente un gran numero di parole chiave che vanno ad arricchire lo “scandaglio” dei motori di ricerca, facendo aumentare esponenzialmente la possibilità di essere trovati, persino per caso o quasi.
I CMS più diffusi come WordPress o Joomla già mettono a disposizione in automatico la possibilità di strutturare l’intero sito o una parte di esso come blog. Poi ci sono popolari portali gratuiti come Blogger, collegato a Google e che ovviamente tende a premiare sé stesso nei risultati delle ricerche.
A quel punto sono sicuro che ogni guida sia in grado di sbizzarrirsi con i contenuti, perché da quando frequento i meeting e le riunioni Aigae sono proprio i racconti quelli che più mi stupiscono, come le specialità e le profonde conoscenze di tematiche incredibili.
Le pagine di racconto, ad esempio dell’escursione o della perlustrazione appena effettuata, rimarranno nella rete con una temporalità più indefinita rispetto alla promozione dell’evento. Avendo più possibilità di essere linkata da terzi, anche da noi stessi nei vari social network.
Possiamo quindi raccontare un luogo, incuriosendo senza per forza dare istruzioni perché le persone ci vadano autonomamente. Non solo perché vogliamo che ci vengano con noi, cogliendo a fondo tutti gli aspetti, ma anche per non prendersi responsabilità eccessive.
Io ad esempio dal mio blog sul trekking (che ammetto di aver trascurato ultimamente, sbagliando perché la resa era ottima) ho levato le tracce GPS o le schede che avevano l’impostazione di vere e proprie istruzioni. Perché ho ricevuto addirittura e-mail polemiche.
Ne riporto un paio perché quando lo dico spesso non mi credono: “Ho provato a usare i suoi files delle escursioni sopra alla località di Noveglia e prima mi sono perso poi mi sono trovato in un bosco pieno di spine, mi sono incastrato, tagliato, non riuscivo più a uscire. Nel mio GPS Garmin risultavano sballati di parecchie decine di metri. Non le nascondo che l’ho maledetta e quando sono tornato volevo sporgere denuncia”.
Eccessivo? Forse, ma con quanti stralunati abbiamo a che fare che potrebbero veramente provare a metterci nei guai? Cos’è successo? Molto semplicemente la pagina era stata pubblicata diversi anni prima e nel frattempo i sentieri si erano richiusi e alcuni che erano franati nel frattempo erano stati spostati in zone meno difficoltose. Il vero problema in termini di comunicazione è di reputazione poiché nonostante le mie giustificazioni più che plausibili la prima impressione che il tizio ha ricevuto è stata di incompetenza e probabilmente l’ha anche propagata con la famosa forma più potente che ci sia e cioè il passaparola.
Non vi ho convinto ancora?
“Gentile sig. Galli, salve mi chiamo XXX e sono un appassionato escursionista che frequenta abitualmente la montagna fin da piccolo. Venuti a conoscenza dal suo blog questa domenica, approfittando del bel tempo, io e la mia ragazza decidiamo di recarci di buon mattino a Stabio per visitare questa bella vallata, ancora ignari di quello che ci sarebbe capitato. Premetto che non sono il più esperto degli alpinisti, ma nemmeno uno sprovveduto. (…) Dopo esserci guardati un po’ intorno troviamo la casa col muro tondeggiante e iniziamo l’escursione scendendo. Qui c’è subito il primo problema (…) quindi a questo punto ci chiediamo se siamo addirittura al bivio giusto, e tristemente torniamo a casa con un pugno di mosche”.
Le parentesi con i punti di sospensione indicano un paio di pagine di e-mail con indicazioni su tutte le parti non chiare con relativa richiesta di rettifica per poter tornare e trovare un posto dove, passati diversi anni, ho capito che alla gente del posto non fa piacere che escursionisti si rechino senza guida, proprio per la delicatezza dei luoghi dati anche i continui furti a un villaggio sperduto e prezioso dove sono stati sottratti chiavistelli in ferro battuto, pietre decorate, stemmi, ecc… Ricordiamoci quindi dell’enorme memoria della rete e che se cambiamo idea o maturiamo opinioni diverse rispetto a quanto abbiamo “scolpito” nei server di pubblicazione dovremo esserci tenuti tutti gli strumenti per poter rettificare, levare e modificare.
Senza inutili allarmismi. Scegliamo bene gli argomenti, raccontiamo con competenza e magari sì, facciamo anche solo assaggiare per creare la giusta calamita che tanto funzionerà sui famosi social network a cui giriamo attorno da ben 6 puntate senza arrivarci. Promettendoli continuamente. Che la prossima sia la volta buona? Ma soprattutto: la tecnica della calamita è stata utilizzata anche per questo finale?
Davide Galli
Coordinatore Emilia-Romagna
Responsabile Nazionale Staff Comunicazione AIGAE
comunicazione@aigae.org
L’Aigae ha accolto favorevolmente la proposta dell’associazione augustanese ‘Màrilighèa di appoggiarsi per la parte logistica (trasferimenti terrestri, spostamenti in barca e noleggio attrezzature) e didattica (sala multimediale) al progetto a RucAzioni, nato dalla stessa associazione cittadina e che punta alla valorizzazione del piccolo borgo di Brucoli (SR).
Lo snorkeling è l’attività di osservazione dei fondali dalla superficie con il solo ausilio di maschera, boccaglio, pinne e muta ed il corso ha posto una particolare attenzione sulla figura della Guida Snorkeling, sulle tecniche di comunicazione e gestione di un gruppo, sulla capacità di poter nuotare, respirare e parlare tenendolo sotto controllo al fine di migliorare la propria acquaticità e sicurezza nello svolgimento delle attività di Guida. Ha inoltre curato approfondimenti nella conoscenza delle specie animali e vegetali mediterranee che popolano le fasce del mesolitorale e infralitorale attraverso interventi teorici tenuti, durante i due giorni, nella sala multimediale di ‘a RucAzioni.
Il corso ha previsto anche una parte sul campo, attraverso un’uscita a bordo del gozzo sorrentino “Clem”, durante la quale il gruppo di corsisti provenienti da tutta l’Italia e docenti, si è recato nei pressi di Punta Tonnara a Brucoli per mettere subito in pratica, direttamente in acqua, le tecniche apprese in fase di teoria e per l’osservazione dei fondali. L’attività di formazione è stata condotta egregiamente dalle Guide Ambientali Subacquee Paola Iotti ed Emilio Mancuso dell’Istituto per gli Studi sul Mare di Milano. Durante il corso è intervenuto anche il dott. Domenico Catalano, operatore presso la Riserva Naturale Orientata di Isolabella, vicino Taormina, che ha evidenziato le tipicità biologiche marine della nostra zona.
Il corso ha rappresentato una prima importante collaborazione tra ‘Màrilighèa, ‘a RucAzioni e realtà quali l’Aigae, l’Istituto per gli Studi sul mare di Milano e la Riserva Naturale Isolabella, tutte perfettamente in linea con gli esempi di attrattive culturali e turistiche che il progetto di Brucoli intende promuovere e fa parte di una delle molteplici attività che ‘a RucAzioni ha in programma, finalizzate alla promozione e al rilancio economico del borgo marinaro di Brucoli e del suo mare.
Luca Di Giacomo
nerodavalos@alice.it
Quattro giorni di aggiornamento, escursioni e workshop sulle pendici dell’Etna.
È decisamente di segno positivo il bilancio del XXII Meeting Nazionale dell’Aigae (l’Associazione Italiana delle Guide Ambientali Escursionistiche) che si è svolto nella prestigiosa sede dell’Ente Parco dell’Etna, l’ex Monastero Benedettino di San Nicolò La Rena a Nicolosi, da
l 6 al al 9 novembre scorsi.
Tanti i professionisti dell’accompagnamento in natura che da tutta Italia si sono dati appuntamento nella cittadina alle pendici del vulcano per una full immersion di quattro giorni, tra corsi di aggiornamento, escursioni e workshop, culminati col momento più importante della vita associativa: l’Assemblea nazionale.
Ad accoglierli un manipolo di soci che, dai transfert alle guide sul campo, si sono messi a completa disposizione degli intervenuti, con l’entusiasmo di chi ama il proprio territorio e desidera farlo scoprire ai nuovi arrivati. Un entusiasmo che non è sfuggito a Marisa Mazzaglia, Presidente del Parco dell’Etna, e a Giuseppe Di Mauro, Assessore del Comune di Nicolosi, che nel congratularsi per la presenza così nutrita, hanno affermato di seguire con grande attenzione tutte le figure che, con alta qualità professionale, possono contribuire alla conoscenza e divulgazione, in tutte le sue diverse sfaccettature, dell’Etna e del suo territorio.
Intento, questo, che ha ispirato le location del corso di formazione di Snorkeling per le Guide Aigae, svoltosi presso il borgo marinaro di Brucoli, e delle tre escursioni che hanno visto i partecipanti provenienti da diverse regioni d’Italia andare alla scoperta delle bocche eruttive del 2002 e delle lave del 1911 e 1923, nel territorio di Monte Nero e Piano Provenzana e delle suggestive gole del fiume Alcantara.
«Siamo particolarmente lieti che la nostra area protetta e l’Etna, siano stati scelti come luoghi simbolo per un incontro di grande rilievo sulla situazione e le pro spettive di una professione fondamentale per la conoscenza e la divulgazione della natura – ha affermato la Presidente del Parco dell’Etna – Il momento attuale, caratterizzato da grandi cambiamenti nell’ambito delle professioni turistiche e, più in particolare, delle Guide Ambientali Escursionistiche, necessita un confronto forte e aperto per consentire, nella maggiore chiarezza e nella maggiore trasparenza possibile, l’esercizio di una professione essenziale all’interno di un parco».
Numerosi, in questi quattro giorni, i momenti di confronto, tutti riguardanti le diverse angolature di un mestiere, quello di guidare in natura, che deve fare i conti con le novità legislative. In primis quelle introdotte dalla 4/2013, la legge nazionale che, liberalizzando le professioni non riunite in ordini professionali, di fatto ha consentito a chiunque di accompagnare per professione in natura. La stessa legge, con l’intento di tutelare il consumatore, ha affidato alle associazioni di categoria come l’Aigae il compito di selezionare i propri iscritti, di fornire loro un aggiornamento continuo e di offrire al cliente finale il supporto e le informazioni necessarie a orientarsi e a scegliere il professionista più qualificato ad accompagnarlo in sicurezza e con competenza in un ambiente naturale. Dal momento in cui la 4/2013 è stata varata si è posto il problema del rapporto esistente tra la legge nazionale e la selva intricata di normative regionali che, «in modo incostituzionale – come tiene a precisare l’avvocato dell’Aigae Luca Berchicci – limitano la libertà di azione delle Guide. L’unica legge valida – precisa il legale – è quella nazionale, non potendo le regioni legiferare in materia di professioni». Come si configura, allora, alla luce della nuova legge, il ruolo dell’unica associazione di categoria che opera a livello nazionale e che è iscritta negli elenchi ricognitivi del Ministero dello Sviluppo Economico, è argomento affrontato da Filippo Camerlenghi. Il Vicepresidente dell’Aigae ricorda ai presenti come gli obiettivi sinora raggiunti – frutto di un lungo lavoro svolto principalmente dal Presidente Stefano Spinetti – si tradurranno presto nella possibilità per i Soci di essere più competitivi, qualificati e certificati in un mondo del lavoro in cui solo l’aggiornamento continuo e la certificazione delle competenze possono far fronte alle richieste di una clientela sempre più esigente e alla concorrenza sempre più spietata. Sapranno le Guide Ambientali Escursionistiche affrontare le nuove sfide che il futuro prossimo venturo impone? Ne è certo il naturalista e noto volto televisivo Francesco Petretti al quale è stata affidata la conduzione del convegno, che, con l’entusiasmo che l’ha reso particolarmente gradito al pubblico nelle sue apparizioni televisive in programmi come Geo&Geo, si è detto convinto «che si può e si deve lavorare con la natura e che la Guida Ambientale Escursionistica, che negli anni è diventata una vera e propria professione ha davanti a sé un futuro fatto di lavoro crescente e di crescenti gratificazioni economiche».
Come ogni anno una grande attenzione è stata prestata da Aigae ai momenti formativi che hanno costellato la 4 giorni siciliana destando vivo interesse tra i partecipanti. «Chi accompagna in natura sta vivendo un periodo che apre nuove prospettive. Bisogna saperle cogliere, ragionando in una logica di strategia della promozione della Guida e dell’escursione». Con queste parole Antonella Tagliabue, managing director di una società di consulenza strategica, ha introdotto l’uso degli strumenti del web e dei social media durante il workshop “Il marketing delle guide: strategie e tattiche. Dall’escursione all’esperienza”. Marco Menichetti, dottore commercialista e presidente collegio revisore dei conti Aigae, ha illustrato “Gli aspetti fiscali per la Gae, normative e consigli”, argomento quanto mai attuale alla luce della legge 4/2013. Decisamente magica l’atmosfera che si respirava durante il workshop tenuto da Paolo Uccello sul tema de “La medicina popolare siciliana come strumento di lavoro”. Il direttore del Museo del Tessuto, dell’Emigrazione e della Medicina Popolare a Canicattini Bagni (SR), con la sua dote di affabulatore, ha incantato la platea di guide con gustosi aneddoti e storie della tradizione popolare sicula.
Marino Caringella
Vicepresidente funzionale e Coordinatore Aigae Puglia
puglia@aigae.org
Gli antichi rimedi che, sin dalle prime civiltà della storia, erano utilizzati per la cura di ogni tipo di malattia, hanno affascinato generazioni di uomini… tra tutti questi, Paolino Uccello, socio Aigae, che con ricerche empiriche e meticolose è venuto alla scoperta di erbe, radici, bacche e quant’altro offre il Creato per sanare dai mali che man mano gli si presentavano sempre in forme nuove.
Nel suo intervento Paolino Uccello ha ricostruito la storia e la memoria del mondo contadino ibleo, in particolare delle botteghe dei ciarauli, dei guaritori e degli aromatieri, che per secoli, unitamente alla “majara”, hanno costituito l’unico intervento terapeutico accessibile alla quasi totalità delle genti iblee. Ma è al passato che dobbiamo guardare per comprendere gli usi delle piante officinali nella cultura popolare iblea, perché i primi erbari documentati in Sicilia, che favorirono una più esatta identificazione delle piante, risalgono al ‘500. I ricettari risalgono invece al pieno medioevo e una medicina tipica di quel periodo è la “Teriaca o Triaca” che comprendeva nella sua formulazione la “carne di vipera”. Infatti secondo le credenze di allora, un animale velenoso possiede nel suo corpo l’antidoto contro tale veleno. Le teriache si ripresentano nella cultura contadina siciliana dei secoli XVIII-XIX, esse erano fondamentalmente composte da: carne di vipera (elemento primario), incenso, timo, tarassaco, potentilla, miele, liquirizia, finocchio, radice di valeriana e aristolochia.
In effetti definire il ruolo del serpente nella nostra cultura è compito arduo, in quanto ci troviamo davanti ad un complesso fenomeno di tradizioni nate nei vari nuclei locali, condizionati da realtà di matrice diversissima. Per la muta periodica che lo contraddistingue, in passato il serpente simboleggiava il rinnovamento della natura ed era associato al culto delle acque e della fertilità. E’ forse questo il motivo per cui spesso questo rettile era anche abbinato ad alcune divinità femminili, come Artemide ed Ecate. Ritornando alla storia delle botteghe dei ciarauli, Uccello sottolinea la loro importanza nel sistema sociale ibleo, in quanto quella dei ciarauli era un’arte trasmessa da generazione in generazione ed i loro intrugli, di cui non sappiamo abbastanza erano spesso imitati dai contadini che utilizzavano l’unguento miracoloso realizzato immergendo scorpioni o teste di vipere nell’olio. I Ciarauli sono legati al culto di San Paolo e, per la mitologia di San Paolo Apostolo, anche per i ciarauli trova larga parte il riconoscimento del loro potere taumaturgico di guarire dai morsi dei serpenti, delle vipere, delle tarantole e degli insetti velenosi. I ciarauli usavano anche l’erivi i San Paulu: la lavanda e l’alloro. Infatti, nel giorno di San Paolo, mazzetti di lavanda vengono, a tutt’oggi, benedetti e portati nelle case dei fedeli con funzione apotropaica; nelle nostre campagne, l’uso di bruciare l’alloro era legato alla credenza che questi fuochi potessero allontanare i serpenti. La pianta infatti era sacra a San Paolo e per allontanare le vipere dalle case si recitava questo ciarmu: “San Paulu maccia ri addauru, spina pungenti, nun muzzicari a mia ne autri genti”.
L’intervento della majara si richiedeva invece per ottenere la guarigione o per allontanare la presenza di una forza avversa, ma anche per invocare malefici nei confronti dei rivali. La majara è legata all’affatturamento, pensiamo all’uovo di gallina, la majara infilava da trenta a sessanta spilli per provocare fitte dolorose alla persona che si voleva affatturare, però nella parte superiore dell’uovo si infilava un chiodo, attorno al quale si legava un nastro rosso, affinché la majara non subisse gli effetti del proprio maleficio. Questi personaggi della storia popolare, ricorrevano all’uso “ro ciarmu”, cioè alla parola che guarisce ma soprattutto all’uso delle piante.
Usavano, infatti, gli oleoliti, per esempio l’olio di iperico, gli acetoliti, quello più importante era l’acetolito con il fiore di sambuco contro il mal di denti, infine, gli enoliti, con il vino, il più famoso curava “i vertigini i morriri”, poi si usava la picata, cioè la pomata con grasso di maiale e piante officinali: il termine picata, è una resistenza culturale, nella parlata dialettale iblea, si dice “si na picata” ad una persona alla quale cadono gli oggetti dalle mani. La pomata più famosa era fatta con l’elicriso, per le dermatiti. I ciarauli, gli aromatieri e le majare si occupavano anche dei filtri d’amore, ma per i filtri d’amore occorrevano molti ingredienti: un pelo di barba di monaco, un pizzico di ossa di morto, la viola e la verbena, infine si ripeteva l’orazione: “ti rugnu u sancu rili me vini tu ma amari finu alla fini, ti rugnu u sancu ri li mi ossa tu ma amari fino alla fossa, ti rugnu u sancu ro ma ciunnu tu m’amari finu alla fini ro munnu”. Nei loro intrugli usavano perfino la mandragora; fin dall’antichità la mandragora ha evocato qualità magiche ed afrodisiache, tuttavia non era semplice estrarre la radice, perché se non si adottavano certe precauzioni si rischiava addirittura di morire. In primo luogo, la pianta va spiantata di notte, in sintonia del legame della Mandragora con la dea Ecate. Quanto al rito, chi la coglieva doveva evitare di avere il vento contrario, poi tracciava intorno alla pianta tre cerchi con una spada benedetta e, infine, la dissotterrava guardando ad occidente, di facili costumi intonava canzoni erotiche per distrarre l’anima del defunto contenuta nella radice della pianta. La majara la consigliava a chi nel sonno voleva incontrare l’amato o l’amata, bastava ingerire del vino rosso prima di addormentarsi dove erano stati grattugiati frammenti di “Mandraula”.
Violetta Francese
Coordinatrice Aigae Sicilia
Custodire, proteggere, tutelare
Appunti di viaggio sulla traversata del Matese in solitaria
di Guglielmo Ruggiero
(altro…)