L’infinita ricerca dell’attimo eterno

E’ cresciuto con un sogno: tradurre il movimento nello scatto di un solo istante. A colloquio con Milko Marchetti, il primo fotografo che ha ricevuto il QIP (Qualified Italian Photography) per immagini di natura.

“I miei compagni di avventura sono: un capanno mimetico, ore di appostamenti immobili, le fredde giornate di gennaio, le afe di luglio, le innumerevoli zanzare, la nebbia, e la mia inseparabile macchina fotografica”. Milko Marchetti, classe 1968, ferrarese di nascita, fotografo naturalista di professione, si presenta così agli oltre cinquantamila visitatori del suo sito web (www.milkomarchetti.com). Lo incontriamo a Bologna, di ritorno da un viaggio di lavoro a Il Cairo e in procinto di partire per l’Umbria per ritirare a Orvieto il QIP (Qualified Italian Photography) 2009, uno dei riconoscimenti più prestigiosi per la fotografia professionistica nazionale. Il QIP, che Marchetti è stato il primo a mettere in bacheca con scatti a carattere naturalistico, è solo il più recente di una lunga serie di riconoscimenti tra cui spiccano le cinque vittorie consecutive alle coppe del mondo di fotografia ospitate con cadenza biennale e aperte alle migliori rappresentanze di fotografi di ogni paese. Dietro a ogni premio c’è un’immagine e dietro a ogni immagine il percorso di crescita intrapreso per anelare alla perfezione assoluta del risultato finale, che per Marchetti vuol dire essere in grado di «fermare il tempo e rendere un attimo eterno. In particolare – aggiunge il fotografo ferrarese – il mio obiettivo è la foto dinamica, lo scatto che blocca in un solo fotogramma il movimento, l’immagine che dà all’osservatore il dinamismo che non c’è. Può essere un mosso, può essere un taglio che lascia molto spazio alla direzione di volo del soggetto, può essere un tempo di esposizione velocissimo che imprime l’energia di un istante».
Lo scatto in cui questa tensione al dinamismo si manifesta con più forza è forse il tuffo del Gabbiano comune nel Parco del Delta del Po. Un contro-luce totale che illumina perfettamente il soggetto, lo blocca nitido sul pelo dell’acqua, ma lascia lo sfondo scurissimo, quasi nero, e su di esso proietta la nube di piccole gocce da cui si legge la rapidità del gesto, la violenza della cattura del pesce, il rumore della superficie dell’acqua turbata con tanta foga. E’ un dinamismo violento che si integra con il dinamismo romantico del Mignattino piombato che nutre il figlio: l’inquadratura conduce l’attenzione sull’incontro fugace, di pochi decimi di secondo, tra il becco dell’uccello adulto e quello dell’uccello neonato. L’immagine è l’unica perfetta di una serie di milleottocento fotogrammi pensati mesi prima, quando Milko aveva allestito un capanno mimetico che potesse essere considerato dai volatili parte del contesto, quando il fotografo aveva speso ore a imparare il richiamo del genitore al figlio per anticipare lo scatto di quei pochi, indispensabili attimi necessari per immortalare l’incontro che la sua mente aveva già disegnato. «Dietro una fotografia – spiega Milko – c’è un’infinita ricerca: di luoghi, di stagionalità, di etologia. Parlo prima di natura che di tecnica, perché per me è fondamentale far capire che il fotografo naturalista è prima naturalista e poi fotografo. Conoscere un territorio, conoscere la biologia e l’etologia del soggetto che si vuole riprendere è l’unico modo per trovare l’animale, avvicinarlo e fotografarlo, limitando il disturbo al minimo. Ogni animale, per la pressione venatoria che subisce e per la conseguente percezione dell’uomo come nemico, è difficile da fotografare, ma ve ne sono alcuni che presentano difficoltà eccezionali. Il Martin pescatore, per esempio: è una scheggia.
Non c’è nessuna possibilità di fotografarlo per caso, ma conoscerlo e attenderlo nel luogo giusto dà buone garanzie. Il Martin pescatore si tuffa continuamente per catturare i pesci, le sue prede, prediligendo specchi d’acqua bassi e puliti che domina da posatoi posti a un metro sopra la superficie. Sapendo questo e ponendo un ramoscello ‘tattico’ nel posto giusto, in due o tre ore di attesa con un buon teleobiettivo si può essere ottimisti». Con un 300mm super luminoso a 2.8 (“il mio obiettivo preferito”) montato su corpo macchina Canon, Milko si è costruito nel tempo un archivio di duecentomila immagini composto da cinquantamila diapositive e centocinquantamila file. Vi rientrano animali (uccelli, rettili, mammiferi, insetti, anfibi), flora (fiori, ortaggi, alberi e arbusti, funghi, campi coltivati) e reportage su parchi naturali di Italia, Spagna, Germania, Olanda, Belgio, Francia, Svezia, Finlandia, Norvegia, Scozia, America e Canada. Dal suo portfolio attingono enti locali, provinciali e regionali, parchi nazionali, associazioni di categoria, mensili specializzati e cataloghi di tour operator. Ogni committente dà la sua impronta, ma l’evoluzione del progetto, della serie di scatti resta libera. «Recentemente – spiega per esempio Milko – ho curato un servizio per Qui Touring dedicato a Ferrara, la città delle biciclette. Ho dato come sempre un mio taglio autonomo al progetto, poi ho soddisfatto alcune specificazioni particolari come quella di unire le bici al monumento. Ho portato la mia bici di fronte al Palazzo dei diamanti e mi sono divertito a distorcere un po’ le linee architettoniche». Nelle poliedriche collaborazioni di Milko, in cui si inserisce anche una consistente attività di workshop di fotografia naturalistica in Italia e all’estero, la tecnologia digitale ha trovato il suo spazio creativo. Marchetti ama, infatti, presentare il suo portfolio con clip accompagnate da un sottofondo sonoro: «Il connubio immagini- musica – dice – riesce a coinvolgere maggiormente lo spettatore.». Il percorso che porta alla nascita di questi prodotti multimediali è però invertito rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un fotografo. «Penso prima alle musiche e poi vado al copione – spiega Milko -. Mentre sono in auto o con il mio lettore Mp3 ascolto qualche traccia ed è lì che mi nasce l’idea. La musica viene prima, perché una brutta musica può danneggiare delle belle foto, mentre una bella musica può valorizzare delle foto mediocri.
Seguendo il ritmo, capisco la velocità del montaggio, intuisco dove collocare la dissolvenza tra un’immagine e l’altra. Le mie musiche preferite? Beh, new age e chill out. E’ un giudizio del tutto personale, ma non accompagnerei mai delle mie foto con la musica classica!». Nessun conflitto dunque tra digitale e foto d’autore? «No – ammette tranquillo Marchetti – i pro sono decisamente più dei contro: hai più scatti, più margini di correzione, più libertà di modifica dei parametri da foto a foto, maggiori potenzialità di post-produzione. Sono un fan del digitale, anche se mi rendo conto che il risultato immediato del digitale ha cambiato il modo di fare fotografia. Il digitale fa correre il rischio di disimparare a fotografare. Prima, con la pellicola, ragionavi molto di più a monte: passavo ore a pensare a uno scatto, a prevedere la migliore combinazione tra i parametri per ridurre al minimo il margine di errore. Con il digitale questo non accade più. Il digitale, in qualche modo, ammette l’errore, lo rende correggibile anche sul momento.». Le attuali riflessioni sulla rivoluzione elettronica giungono a margine di un cammino ormai lungo. Milko Marchetti aveva solo sedici anni quando, su invitodi un amico, si iscrisse alla LIPU (Lega Italiana per la Protezione degli Uccelli) e con un binocolo giocattolo mosse i primi passi da birdwatcher. Allora era un ragazzino, doveva ancora fare il militare e al collo aveva una piccola Yashica Fx3. Ma già era orgoglioso dei suoi scatti. «Lo sono stato fin dal primo rullino – racconta –. Le mie prime foto mi sembravano bellissime. Poi ne ho eliminate tantissime dal mio archivio, ma perché crescendo è cambiato il mio modo di lavorare. Una volta andavo in giro e mi limitavo a fotografare quello che mi capitava. Oggi, invece, ho uno stile di ricerca completamente diverso: lavoro su un soggetto singolo e, studiando la sua etologia e i limiti della strumentazione, cerco di approfondire le possibilità di ritrarlo nel suo attimo più pieno». Tra le foto del mese del suo sito c’è per esempio un’intera galleria dedicata allo stambecco. Non una sola foto ritrae l’animale intero. Ogni scatto gioca sulla dialettica tra particolare e universale, invita al dialogo l’osservatore, presenta un dettaglio per attivare un immaginario. Lo scatto non si risolve nello spazio fisico dell’immagine, ma si esprime nello spazio mentale che suggerisce all’osservatore.
Questo lavoro sul dettaglio o il realismo deformante di un grandangolo a occhio di pesce sono solo due esempi del percorso di miglioramento infinito che può essere intrapreso anche nei luoghi di sempre. «L’emozione più grande – spiega – resta sempre la cattura di una porzione di una realtà che ancora mancava al tuo archivio…». Milko ama il grande Nord, ma ancora ferma l’auto d’improvviso sugli argini del fiume Reno [1], si bagna fino alla bronchite in mezzo alla rugiada del mattino per creare un gioco di prospettive con le gocce d’acqua illuminate dal sole. «Ci sono voluti duecento scatti per arrivare alle mie gocce di rugiada in controluce sull’erba – ricorda -. Non era uno scenario incredibile: era molto comune, ma in quell’istante dall’auto mi è venuta un’idea. Il mio target era una sola di quelle gocce, messa a fuoco con un teleobiettivo e un diaframma molto aperto. Un grandangolo avrebbe generato un effetto più caotico, meno impattante. Resta un grande stimolo anche il lavoro fatto da altri – aggiunge poi –. Sfogliare le pagine del National Geographic ti induce sempre a pensare come tu avresti potuto rendere il tema che altri hanno già sviluppato in modo superbo. E’ normale, perché un fotografo ha sempre il compito di lasciare una sua traccia nelle fotografie che realizza». Le immagini continuano a scorrere sotto le parole. Un Lupo in corsa su uno sfondo sfuocato. Un Gerride appoggiato sulla superficie dell’acqua in movimento. Un Cannareccio in controluce sul rosso del tramonto. Le geometrie paesaggistiche dei porti del Delta del Po. Le fioriture primaverili delle vallate appenniniche bolognesi. Una Garzetta che spicca il volo con il corpo che si intravede dietro il bianco dell’ala aperta. L’ombra di un Germano reale che galleggia in un corridoio tra le canne. Tutto sembra il risultato di un lavoro perfetto, di scelte ovvie, semplici, scontate. Ma come reagirono parenti e amici quando il loro giovane ragazzino pensò seriamente un approccio economico alla fotografia naturalistica. Milko ride. «Mi dissero: tu vuoi campare facendo foto a uccelli? Bah…».

Silvio Mini
Giornalista pubblicista
e Socio AIGAE dell’Emilia Romagna
silvio.mini@gmail.com

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[1] E’ il più importante corso d’acqua dell’Emilia-Romagna, nonché l’unico rilevante della Regione che non sia un affluente del Po. (N.d.R. Da http://it.wikipedia.org)

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