Casote. Architettura rurale sulle montagne del Triangolo Lariano

Camminando in Lombardia, sui monti del Triangolo Lariano, a cavallo delle province di Como e di Lecco, in Val Ravella ed in Valmadrera, spesso si osservano le architetture rurali di un passato più o meno recente.

Si abitava in montagna, una volta, ora non più o sempre di meno. Si fatica sui monti a fare legna, a coltivare la segale, ad allevare animali.
Cicli della natura, momenti per seminare, momenti per cogliere, orari per mungere gli animali e gli stessi da accudire e curare.
I nostri monti sono molto diversi dal passato, sono cambiati per l’abbandono che hanno subito, per l’antropizzazione della Pianura Padana e della Brianza.
Sui colli ed in pianura si viveva sempre meglio: alla fine del XIX secolo vicino a Milano e lungo l’asta del Fiume Adda cominciava ad esserci con maggiore frequenza e facilità l’energia elettrica e le vie di comunicazione consentivano sempre più scambi commerciali che, fino a poco prima, erano risultati più difficili.
Sulle nostre montagne mi capita spesso di muovermi con lentezza e con una macchina fotografica come compagna ed a volte ho osservato la straordinaria funicolare ad acqua che si incontra sul sentiero del Viandante lungo la sponda orientale del Lario; oppure le modeste – ma efficienti e funzionali – “casote” dove i pastori conducevano al pascolo estivo le loro vacche, pecore e capre, nella zona del Triangolo Lariano definita dalle cittadine di Como, Bellagio e Lecco.
È bene fare presente che, malgrado le quote siano relativamente basse, ovvero non superino di molto i 1400 m.s.l.m., raro era il bosco fino al 1950.
Faggete per poter produrre la carbonella, governate con cura saggia e sapiente, così come le selve castanili: le preziose castagne consentivano di avere alimento invernale con conserve, farine, dolci energetici e buoni, oppure secche che, ben conservate, buonissime poi erano allentate in un caldo latte…
Nocciolo, sambuco, noci e piccoli frutti, more, lamponi e fragole e, nell’ultimo secolo, il miele.
Ma torniamo alle nostre casote. Essendoci poco bosco sulle creste spazzate dal vento e sui pascoli montani, in caso di mal tempo, dove poteva ripararsi un pastore quando lampi, tuoni e fulmini squassavano il cielo e le vacche spaventate si immobilizzavano, la coda ritta e, silenziose e disperate, attendevano il volgere al bello che arriva, naturale, dopo la più spaventosa tempesta? Dentro a questa ‘spaventosa’ natura, la saggezza dell’uomo.

Nicola Vicini
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